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L’innocenza perduta: la storia di Genie

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Casi classici della psicologia
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Riassunto

Un giorno, nella prima metà di novembre del 1970, Irene Wiley cercò il servizio per ciechi presso l’ufficio locale di assistenza pubblica di Los Angeles County. L’accompagnava la figlia di tredici anni. Completamente cieca da un occhio, e con una cataratta che provocava il 90% di cecità nell’altro, la donna entrò per sbaglio negli uffici dei servizi sociali generali. Questo errore cambiò per sempre la vita di entrambe. Mentre si avvicinavano al banco, l’assistente sociale rimase paralizzato a fissare la ragazza: a prima vista, sembrava una bambina di sei o sette anni con la schiena incurvata e uno strano passo trascinato. Fu chiamato un supervisore che iniziò immediatamente delle indagini: finalmente dopo tredici anni di isolamento, abbandono e abuso il mondo è venuto a conoscenza di una ragazza, successivamente conosciuta come “Genie”1[1],[2].

“Genie” fu lo pseudonimo scientifico che le venne dato per proteggere la sua identità. Fu una scelta appropriata, poiché sembrava venuta dal nulla. Comunque, quando il caso fu portato in tribunale, i giornali riportarono i nomi e gli indirizzi delle persone coinvolte. è stato cosÌ ampiamente riportato su Internet che certo non nuoce riportare il suo vero nome: Susan M. Wiley. Anche suo fratello John rilasciò un’intervista all’ABC News il 19 maggio del 2008 nella quale fornÌ ulteriori dettagli personali sul caso. Vedi http://abcnews.go.com/Health/story?id=4873347¶ge=1

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Bibliografia

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Rolls, G. (2011). L’innocenza perduta: la storia di Genie. In: Casi classici della psicologia. Springer, Milano. https://doi.org/10.1007/978-88-470-1923-2_7

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