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Part of the book series: Germanistische Symposien ((GERMSYMP))

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Zusammenfassung

In questo mio contributo mi progongo di fare un bilancio su presenza e caratteristiche del classicismo nella tarda antichità latina. Nel linguaggio della critica letteraria, le categorie di »classico« e »classicismo« si applicano, come è noto, a fenomeni di vario genere: [1] classico è un testo o un autore canonizzato, che esprime grandi temi in forme esemplari; ma classico si definisce anche — in contrapposizione a manierismo e barocco — un modo di scrivere che eviti squilibri e disarmonie. [2] Analogamente, il termine italiano »classicismo« (che ricopre le aree semantiche dei due termini tedeschi Klassik e Klassizismus) può essere adoperato sia per designare la scelta di uno stile, sia per indicare atteggiamenti di imitazione attiva o ammirazione passiva nei confronti dei classici e delle idealità di cui essi sono portavoce. Poiché non esiste corrispondenza biunivoca fra la categoria di classico e la serie di realtà cui essa rinvia, è necessario specificare di volta in volta a quale titolo si parli di classicismo. Nell’ambito della mia indagine ho pertanto operato una distinzione di base fra classicismo come culto dei classici, e classicismo come aderenza ai modelli. Quest’ultima può realizzarsi sul piano dello stile, del metro, della scelta dei temi e delle forme letterarie, ma potrà parlarsi di classicismo in senso forte solo quando alla scelta di una forma letteraria tràdita (o addirittura di una specifica opera presa come modello) si accompagnino l’adesione al registro stilistico ed al linguaggio che le pertengono, e la riproposizione dei temi che le sono propri.

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Anmerkungen

  1. Sulle varie accezioni codificate del termine »classico« si veda l’ottima messa a punto di Franco Fortini, »Classico«, Enciclopedia Einaudi III, Torino 1978, 192–202.

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  2. Questa distinzione fra i due diversi significati del termine si riflette anche nel saggio die Ernst R. Curtius, Europäische Literatur und lateinisches Mittelalter, Bern 1948, che, dopo aver trattato die Klassik a partire dalla codificazione dei generi letterari e dalla formazione dei canoni (cap. XIV), passa a studiare il manierismo (cap. XV), da lui definito »die Komplementär-Erscheinung zur Klassik aller Epochen« (275).

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  3. ad essi si rinvia per ulteriori indicazioni bibliografiche. Per il duplice rapporto della produzione tardolatina con classicità e Medioevo, rinvio alle considerazioni di Manfred Fuhrmann, »Die lateinische Literatur der Spätantike. Ein Beitrag zum Kontinuitätsproblem«, Antike und Abendland 13 (1967), 56 ss.

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  4. (ora in: Manfred Fuhrmann, Brechungen, Wirkungsgeschichtliche Studien zur antik-europäischen Bildungstradition, Stuttgart 1982, 47ss.).

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  5. Il primo studio d’insieme sulle subscriptiones si deve ad Otto Jahn (»über die Subscriptionen in den Handschriften römischer Klassiker«, Berichte Verhandl. königl. sächs. Gesell. Wiss. Leipzig, phil.-hist. Classe 3 (1851, 327 ss.), poi integrato, ma non sostitutio, da una serie di altri contributi. Per un bilancio sullo stato attuale degli studi si rimanda all’ampia e documentata trattazione di Oronzo Pecere, »La tradizione dei testi latini tra IV e V secolo attraverso i libri sottoscritti«, in: Andrea Giardina (ed.), Tradizione dei classici. Trasformazioni della cultura, Roma, Bari 1966, 19 ss. (le indicazioni bibliografiche alle note 1–4, 210 s.)

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  6. Punto di arrivo di questa tendenza interpretativa possono considerarsi i due lavori di Herbert Bloch, »A new Document of the last Pagan Revival in the West, 393–394 A. D.«, Harvard Theol. Rev. 38 (1945), 199 ss., e »La rinascita pagana in Occidente alla fine del secolo IV« in: Arnaldo D. Momigliano (ed.), Il conflitto tra paganesimo e cristianesimo nel secolo IV, trad, it., 2. ed., Torino 1975, 201 ss.

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  7. L’identificazione più probabile di Macrobio (che esce confermata da un’epigrafe riguardante il figlio dell’autore che è il dedicatario dei Saturnalia, cfr. Silvio Panciera, »Epigrafia e ordine senatorio«, in: Tituli 4, Roma 1982, 658–660) resta quella con il vir clarissimus Theodosius, praef. praet. Italiae Illyrici et Africae del 430 d. C, già proposta da Santo Mazzarino (Rendiconti Reale Istituto Lombardo 71 (1937–8), 235 ss.), e dimostrata con solide prove da Alan Cameron, »The Date and Identity of Macrobius«, Journal of Roman Studies 56 (1966), 25 ss. Per Cameron i Saturnalia furono composti non molto dopo il 431, e sarebbero successivi al commento di Servio, a sua volta non anteriore al 410 (p. 32). Al decennio 420–430 pensa invece Jacques Flamant, Macrobe et le néoplatonisme latin à la fin du IVe siècle, Leiden 1977, 140, che peraltro indentifica l’autore con il Macrobius proc. Africae del 410 (102–126) e non si pronuncia sull’eventuale anteriorità di Servio. Nino Marinone, Atti Accad. Torino 104 (1969–70), 181 ss., colloca invece il commento serviano al 435 circa, e con lui concorda Philippe Bruggisser, »Précaution de Macrobe et datation de Servius«, Museum Helveticum 41 (1984), 162 ss., il quale accetta per i Saturnalia la datazione proposta da Cameron, e non esclude che il commento di Servio fosse contemporaneo ai Saturnalia (166). Assai deboli sono per contro gli argomenti con cui Siegmar Döpp, »Zur Datierung von Macrobius’ Saturnalia«, Hermes 106 (1978), 619ss., ha riproposto per l’opera di Macrobio una datazione alta (dopo il 402 e prima del sacco di Alarico). Anche se qualche problema di cronologia relativa permane circa la datazione degli scritti di Servio e Macrobio, può ormai considerarsi acquisita la non contemporaneità dei due autori con Simmaco.

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  8. Riguardo ai caratteri del quale mi sembra a tutt’oggi condivisibile la posizione di John F. Matthews, »The Letters of Symmachus«, in: James W. Binns (ed.), Latin Literature of the Fourth Century, London 1974, 58 ss., che nella generale opacità dell’epistolario simmachiano su tutte le questioni scottanti vede il riflesso di una tendenza a smussare i contrasti, non ad esasperarli con prese di posizione rigide.

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  9. Come ha mostrato in modo convincente Giovanni Polara, »Le iscrizioni sul cippo tombale di Vezzio Agorio Pretestato«, Vichiana 4 (1967), 264ss., sulla base di un confronto con Claudian., Theod. 67s. e 91, l’espressione meliora reddis quam legendo sumpseras di Carmina latina epigraphica, ed. F. Buecheler, vol. I, Leipzig 1895, No. 111, 12 non va riferita ad opera di emendamento, ma piuttosto a rielaborazione originale (277). Sui limiti di editio ed emendatio antiche

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  10. crf. James E. G. Zetzel, Latin Textual Criticism in Antiquity, New York 1981.

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  11. Una ricostruzione del suo background e della sua mentalità in Elizabeth A. Clark e Diane F. Hatch, The Golden Bough, The Oaken Cross. The Virgilian Cento of Faltonia Betitia Proba, Ann Arbor 1981.

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  12. Rispettivamente in Epp. I, 1 e, 2 ( = pp. 166–169 Morel). La pratica della poesia come scelta aristocratica è illustrata da Lellia Cracco Ruggini, »Simmaco e la poesia«, in: Poesia tardoantica, (n. 3), 481 ss. Sulla sostanziale identità di gusti fra pagani e cristiani testimoniata dalla produzione poetica del IV secolo si veda da ultimo Yves-Marie Duval, »La poésie latine au IV siècle de notre ère«, Bulletin de l’Association G. Budé 2 (1987), 165 ss. (sugli Anicii 170–172

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  13. sulla frequenza del tema si vedano i riferimenti a p. 125 dell’ed. Munari. Wolfgang Speyer, Naucellius und sein Kreis. Studien zu den Epigrammata Bobiensia, München 1959, pensa alla paternità di Probino anche per gli epigrammi 25, 26, 29 (93 ss.) e 70, 55 e 66 (113 ss.): ma sull’inopportunità metodologica di queste attribuzioni già si pronunciava Wolfgang Schmid, Gnomon 32 (1960), 347ss.

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  14. Per una riflessione sulle caratteristiche del classicismo di oggetti d’arte legati a committenza cristiana nella seconda metà del IV secolo cfr. Katherine J. Shelton, The Esquiline Treasure, London 1981, specialmente 63 ss. Sugli elementi di continuità dell’arte figurativa cristiana rispetto ai modelli iconografici dei secoli precedenti vedi da ultimo Lucia Faedo, »Conservazione e innovazione nella cultura figurativa tra II e IV secolo«, Storia di Roma Einaudi III, 2,

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  15. the Rufini Festi of Volsinii«, Historia 16 (1967), 484ss., che per gli eredi della grande aristocrazia pagana di fine IV secolo parla di »shift of a religious into a more purely literary interest« (507). Sul passaggio dei pagani al cristianesimo e dei cristiani ai classici vedi anche Robert A. Markus, »Paganism, Christianity and the Latin Classics in the Fourth Century«, in: Latin Literature of the Fourth Century, (n. 9), 1 ss. (poi ristampato in Robert A. Markus, Variorum Reprints, London 1983).

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  16. Si veda ora lo studio di Robert A. Kaster, Guardians of the Language: the Grammarian and Society in Late Antiquity, Berkeley, Los Angeles, London 1988;

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  17. in precedenza, dello stesso, »Macrobius and Servius: Verecundia and the Grammarian’s Function«, Harvard Studies in Classical Philology 84 (1980), 229 ss.

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  18. Sul valore più o meno canonico di autori come Giovenale, Lucano, Stazio, si veda la puntualizzazione di Robert A. Kaster, »Servius and idonei auctores«, American Journal of Philology 99 (1978), 181 ss. Il filtro lucaneo applicato da Servio all’ esegesi di passi virgiliani è stato messo in luce da Maria A. Vinchesi, »Servio e la riscoperta di Lucano nel IV–V secolo«, Atene e Roma 24 (1979), 2ss. (anche se la datazione del commento di Servio fra III e IV decennio del V secolo porta oggi a capovolgerne le conclusioni, e a considerare le riprese lucanee di Prudenzio e Claudiano non come influenzate da Servio, ma piuttosto come influenzatrici del suo gusto letterario).

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  19. Come apprendiamo dalla sua iscrizione, Inscriptiones Latinae selectae, 1–3, ed. H. Dessau, Berlin 1892–1916, 2951 che lo definisce praeceptor fraudis ignarus et intra breve tempus universae patriciae soboli lectus, magister eloquentiae ita inimitabilis saeculo suo, ut tantum veteribus possit aequari. Su Magnus cfr. The Prosography of the Later Roman Empire I, ed. A. M. H. Jones u.a., Cambridge 1971, 234, n. 6, e 235, n. 10.

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  20. La rassegna a tutt’ oggi più completa della presenza dei classici negli scritti cristiani si deve ad Harald Hagendahl, Latin Fathers and the Classics, Göteborg 1958.

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  21. Come è stato provato dalle fini analisi di Isabella Gualandri, Furtiva Lectio. Studi su Sidonio Apollinare, Milano 1979.

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  22. Cic. Brut. 12, 29: la ripresa era già indicata da Vallarsi, J. P. Migne, (ed.), Patrologiae cursus completus. Series Latina XXII, 1110.

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  23. Goth. 139 s. paragona Stilicone a Marcello passando per Valerio Massimo (cfr. Alan Cameron, Claudian. Poetry and Propaganda at the Court of Honorius, Oxford 1970, 339);

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  24. Gaston Boissier, La fin du paganisme II, VII éd., Paris 1913, 88

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  25. Una utile trattazione dell’ epitalamio latino in Camillo Morelli, »l’epitalamio nella tarda poesia latina, Studi italiani di Filologia Classica 18 (1910), 328 ss. (su Paolino 417ss.).

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  26. Il carme è analizzato da ultimo da R. Gelsomino, »l’epitalamio per Giuliano e Tizia (carme 25)«, in: XXXI cinquantenario della morte di S. Paolino da Nola (431–1981). Atti del Convegno, Roma 1983, 213ss.

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  27. Sulla fortuna di Virgilio fra tarda antichità e medioevo la trattazione più ampia resta quella di Domenico Comparetti, Virgilio nel Medioevo, 4. ed., Firenze 1981,

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  28. Pierre Courcelle, »Les exégèses chrétiennes de la Quatrième Eclogue«, Revue des Études Anciennes 59 (1957), 294ss.;

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  29. sulla discutibile qualità dell’esegesi costantiniana cfr. ora Gerhard Radke, »Die Deutung der 4. Ekloge Vergils durch Kaiser Konstantin«, Caesarodunum 13 bis (1978), 147ss.

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  30. Sull’ importanza di Virgilio come aiuto tecnico alla composizione dei versi cfr. Robert P. Hoogma, Der Einfluß Vergils auf die Carmina Latina Epigraphica, Amsterdam 1959, 29 ss.

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  31. Cfr. in proposito le osservazioni di Vincenzo Tandoi (a partire dalla casistica di riprese virgiliane che offre il libro di Hoogma), Atene e Roma 8 (1963), 89s.

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  32. Sulla presenza di Virgilio in Damaso si veda ora Vincenzo A. Nazzaro, »Damaso«, Enciclopedia virgiliana I, Roma 1984, 973–4. Sui caratteri generali della poesia damasiana cfr. Fontaine, Naissance de la poésie, (n. 3), 111 ss.

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  33. Sul centone di Proba si veda la fine analisi di Reinhart Herzog, Bibelepik I, München 1975, 14 ss. Per le diverse modalità di rapporto del centone rispetto al testo originario rimando alle mie osservazioni in »Da Osidio Geta ad Ausonio e Proba: le molte possibilità del centone«, Atene e Roma 28 (1983), in particolare pp. 146–151. Un ulteriore contributo alla discussione offre ora Zoja Pavlovskis, »Proba and the Semiotics of the narrative Virgilian cento«, Vergilius 35 (1989), 70 ss.

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  34. Sul cliché virgiliano cfr. Alessandro Barchiesi, »centum ora«, in: Enciclopedia virgiliana I, Roma 1984, 737s.

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  35. Una ricca raccolta di passi che illustrano la fortuna del cliché virgiliano in età tarda si veda Pierre Courcelle, »Histoire du cliché vergilien des cent bouches«, Revue des Etudes Latines 33, (1955), 231 ss.

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  36. Il passo (sfuggito all’attenzione di Courcelle) è in Iohannis, I, 23 sg. l’ipotesi è di Alan Cameron, »The Vergilian cliché of the hundred mouths in Corippus«, Philologus 111 (1967), 308s.;

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  37. Cfr. Vincenzo Tandoi, »Note alla Iohannis di Corippo«, Studi italiani di Filologia Classica 52 (1980), 48 ss. (su questo passo 51s.).

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  38. Resta da chiedersi quanto fosse congruente (e credibile da parte dei lettori) il rinvio alla Roma di Augusto per giustificare le brutalità della reconquista giustinianea. Dubbi al riguardo solleva Averil Cameron, »Corippus› Iohannis: Epic of Byzantine Africa«, Papers of the Liverpool Seminar 4 (1983), 167 ss.

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  39. I rapporti di Corippo con il modello virgiliano sono assai bene illustrati da Jurgen Biänsdorf, »Aeneadas rursus cupiunt resonare Camenae. Vergils epische Form in der Johannis des Corippus«, in: Monumentum Chiloniense. Festschrift E. Burck, Amsterdam 1975, 524 ss.

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  40. Cfr. Antonino Grillo, »La presenza di Virgilio in Sedulio poeta parafrastico«, in: Raymond Chevallier (ed.) Présence de Virgile. Paris 1978, 185ss. (l’esame di questo passo a 189).

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  41. Cfr. in particolare HE I, I. Sulle convinzioni storiografiche di Sozomeno cfr. Guy Sabbah, Sozomène, Histoire Ecclésiastique, I–II, Paris 1983, 78 ss.

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  42. Cfr. Arnaldo Momigliano, »Storiografia pagana e cristiana nel secolo IV d. C, in: Il conflitto, (n. 5), 89ss., e — sulla posizione isolata di Ammiano rispetto alla produzione latina di IV secolo — Arnaldo Momigliano, »The lonely Historian Ammianus Marcellinus«, in: Arnaldo Momigliano, Sesto contributo alla storia degli studi classici e del mondo antico, Roma 1980, 143ss. (= ASNP 4, 4 (1974), 1393ss.)

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  43. Sulle nuove caratteristiche dell’epistola tardoantica cfr. Klaus Thraede, Grundzüge griechisch-römischen Brieftopik, München 1970, 107ss.,

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  44. Antonio Garzya, »l’epistolografia letteraria tardoantica«, in: Antonio Garzya, Il Mandarino e il quotidiano. Saggi sulla letteratura tardoantica e bizantina, Napoli 1983, 113 ss

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  45. Cfr. Franca E. Consolino, »L’optimus princeps secondo S. Ambrogio: virtù imperatorie e virtù cristiane nelle orazioni funebri per Valentiniano e Teodosio«, Rivista Storica Italiana 96 (1984), 1025 ss.

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  46. La pesante presenza die Pro Lege Manilia, Pro Marcello e de provinciis consularibus nel linguaggio dei panegiristi è messa in evidenza da W. S. Maguinness, »Some Methods of Latins Panegyrists«, Hermathena 47 (1932), 42ss.

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  47. Per indicazioni di ordine generale sull’epigramma tardoantico si rinvia a Reallexikon für Antike und Christentum, Stuttgart 1950ff., V, 562ss. (voce »Epigramm« curata da Rudolf Keydell). Per il recupero di temi epigrammatici greci da parte dei latini, cfr. Franco Munari, »Die spätlateinische Epigrammatik«, Philologus 102 (1958), 127ss.

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  48. Cfr. Eduard Norden, Agnostos Theós, Berlin 1913.

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  49. Manlio Simonetti, »Studi sull’innologia popolare cristiana dei primi secoli«, Memorie Accad. Lincei 4 (1952), 341 ss. (per lo stile di Ilario 371 ss;

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  50. Sulle caratteristiche proprie dell’epos biblico fondamentale è il saggio di Herzog, Di Bibelepik, (n. 46), per una discussione del quale rinvio alla mia recensione su Atene e Roma 25 (1980), 78–83. Per i rapporti dell’epos biblico con la tradizione retorico classica della parafrasi cfr. Michael Roberts, Biblical Epic and Rhetorical Paraphrase in Late Antiquity, Liverpool 1985.

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  51. Ulteriori legami di questi ultimi con la poesia di tradizione classica sono ora segnalati da Antonio La Penna, »Sulla praefatio e l’epilogus di Prudenzio«, in: Polyanthema. Studi di letteratura cristiana antica offerti a S. Constanza, Messina 1989, 217ss.

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  52. Jean-Louis Charlet, » Aesthetic Trends in Late Latin Poetry (325–410)«, Philologus 132 (1988), 74ss.

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  53. E’infatti possibile — nonostante la perdita dei primi libri e anche del proemio — dimostrare questo legame: lo ha provato l’indagine di Guy Sabbah, La méthode d’Ammien Marcellin. Recherches sur la construction du discours historique dans les res gestae, Paris 1978, specialmente 65ss.

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  54. Erich Auerbach, Mimesis, trad, ital., 6. ed., Torino 1975, 58ss.

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Wilhelm Voßkamp

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Consolino, F.E. (1993). Il classicismo nella tarda antichità latina. In: Voßkamp, W. (eds) Klassik im Vergleich Normativität und Historizität europäischer Klassiken. Germanistische Symposien. J.B. Metzler, Stuttgart. https://doi.org/10.1007/978-3-476-05558-3_22

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